Post di Fabrizio Rinaldi
Receive a Random Kindle Highlight from Your Books, Every Morning in Your Inbox (version 1.1)
Important update: visit the official minisite with the updated guide and application.
The more books I read, the more I realize the importance of highlights and notes. Whether I read on paper, Kindle, iPad or iPhone, I feel the need to ‘save’ passages for later reference. Since my memory is pretty weak, I feel the need to go through my highlights now and then, but that’s something I rarely do. That’s way yesterday I came up with an idea.
Underlining and Highlighting are very important
- A very important research
What if I received, every morning, an email with a random highlight from my Kindle books?.. Continua la lettura.
Editing Photos And Managing Files On iPad
I’m loving my iPad Air in many ways, but when it comes to RAW editing and file handling, it’s an unexplainably immature device
A little while ago I wrote my first impressions on the iPad Air. This is what I wrote about photo editing:
I’m using this adapter to load photos and videos from my Canon 600D and edit them on my iPad. The best app to edit RAW photos is PhotoGene. The fact that I’m able to load and watch videos shot with my DSLR really surprised me, since I read that there wasn’t any compatibility. Maybe it’s because I installed MagicLantern on the camera, I don’t really know but it’s great.
iPad Air (the Good and the Bad)
As of this writing, I've been using my iPad Air for a couple of weeks; this is my first iPad ever, and I'm ready to write my (unasked for) first impressions. Instead of delivering a long boring article about my experience — why would you care? — I came up with list. Because you like lists. We all do. Also, I'm lazy. As usual, I'm going to write things as they come to my mind, therefore you won't find any of the usual reviewish stuff.
As a sidenote: I wrote this piece on the iPad itself, and the photos embedded below have been imported and edited on the iPad too… Continua la lettura.
L’alcool et la route (come votare)
Qui sotto potete vedere il video ho realizzato insieme ai Bitchachos Daniele Bisceglia, Gaetano Naducci e Francesco Gentili — e con l’aiuto di Francesco Castellana (nel ruolo del protagonista), Domenico Calella, Beatrice Guerra, Martina Baldacci, Vincenzo Ciannavei e Iago — per il contest L’Alcool Et La Route.
I titoli sono in francese quindi metto qui sotto una traduzione approssimativa delle scritte, così potete capirci qualcosa:
Oh mio Dio, sta per guidare!
Non posso permetterglielo…
Potrei… O forse… Meglio di no.
Questo… Dentro questo. DENTRO QUESTO.
Farò… Tutto ciò… Che sarà necessario.
Se il video ti piace e vuoi aiutarci a vincere, basta cliccare su Voter maintenant e poi sul tasto Facebook per completare velocemente la registrazione e quindi votare… Continua la lettura.
Pensieri di un morto di fama
Ultimamente mi è capitato di ridere, per non piangere, di una certa parte della blogosfera tecnologica — perdonate l’abominio linguistico — luogo di seghe mentali improbabili e sterili lusinghe reciproche tra blogger e sviluppatori. Non mi metto ad argomentare perché chi sa di cosa sto parlando sa di cosa sto parlando. Comunque, per fare qualche esempio: app scarne e basilari ricevono recensioni e plausi grazie alla fama dello sviluppatore, su update di software da 2€ si scrive per mesi e una recensione di un sistema operativo famoso per la sua intuitività conta decine di migliaia di parole — perché sempre più spesso quantità e qualità vengono confuse… Continua la lettura.
∞Italy is what happens when a country knows full well what its problems are but can’t summon the discipline and will to fix them.
» Processo vs. Prodotto finito ∞
Dennis Palumbo, ospite dell’episodio 99 di Scriptnotes, su uno dei motivi del procrastinare e sulla paura che il prodotto del proprio lavoro sia deludente:
Most people procrastinate because they think the finished product, if they got to finish, would either in their minds or in the minds of an agent, the studio, director, would not be good enough. And it’s easier to tolerate the small shame of procrastinating. [...] And what’s really difficult is for people to understand that the shame of self-exposure will always be there as long as you don’t feel engaged with the process itself.
Se scrivete (non necessariamente sceneggiature o roba simile), vi consiglio vivamente di ascoltare l’intero episodio, e in generale il podcast.
» L’obiettivo finale è quello di raccontare una storia ∞
Dalla mia intervista per Mario Palomba su Fuori Corso:
Prima di tutto un invito: non perdete tempo a mettere in piedi un gruppo super-professionale con sito web, video blog su YouTube o chissà cos’altro. Fatevi venire in mente molte idee, e scartatene moltissime. Le buone idee si rivelano a noi perché rimbalzano nella nostra testa anche quando abbiamo altro a cui pensare, cioè quasi sempre. Le riconosciamo perché ci inseguono, ci perseguitano a volte. Le idee sono tutto, fare video perché è una cosa “cool” e lo fanno anche gli altri non serve a nulla. Non fatelo per le visualizzazioni, per i soldi, per i “Mi piace”. Fatelo perché vi piace farlo, sapete farlo (o almeno state imparando) e avete qualcosa da dire. Non scordatevi mai che l’obiettivo finale di un video deve essere quello di raccontare una storia, grande o piccola che sia. Pensate a quello che volete raccontare, e come volete raccontarlo, in ogni fase del lavoro. Tutto il resto è secondario.
» Fai le cose a modo tuo ∞
Diego ha scritto una cosa interessante su come/perché ci inventiamo scuse per non “migliorare” (perdonate la sintesi eccessiva) e sul fatto che non si può eccellere in ogni cosa, e di come questo non sia un problema, anzi.
Se dovessi prendermela per ogni cosa che non faccio e che un altro fa bene sarei messo male. [...] Non si può essere al 100% in tutto, io faccio cose bene che altri non fanno, altri fanno cose bene che io non faccio (bastardi).
Aggiungo soltanto una cosa: una volta diventati bravi a fare qualcosa, capita comunque di guardare quella stessa cosa fatta da uno dei propri idoli (o magari una persona che seguiamo) e pensare “dannazione, io non riuscirei a farla COSÌ”.
È normale, ed è assolutamente vero, ma attenzione: non perché non siamo all’altezza, ma perché siamo esseri umani unici e irripetibili, e quella cosa la faremmo a modo nostro, e forse è di questo che dovremmo preoccuparci prima di tutto: di fare le cose a modo nostro.
» Casual ∞
Diego e Federico mi hanno invitato per una commuovente reunion nel loro nuovo podcast Casual (per il quale ho realizzato lo stupendo logo).
Nella puntata abbiamo parlato di Encounter, quindi di crowd funding in generale, di scrittura creativa, di quello che non insegna l’università, di applicazioni, di cinema, della relatività dei giudizi e delle leggi dell’universo (mancava solo quello).
La differenza tra dilettanti e professionisti (superare la fase “Oh merda”)
Lo sceneggiatore Craig Mazin, in Scriptnotes (il mio podcast preferito), sulla fase “Oh merda” e quindi sulla differenza tra dilettanti e professionisti:
If you’re doing your job right, at some point you will realize, “Oh shit.” In fact, it happens so regularly that at some point you stop saying, “Oh shit,” and you go, “Oh, well here we are at the ‘oh shit’ moment. Okay. Let me have a drink. I’m going to take a walk. And now let’s recover from it.”
[...]
The difference, I think, between the professional and the amateur is that the amateur panics and either digs in and doubles down or quits.
Gravity, un film ambientato nello Spazio (interiore)
For all its stunning exteriors, it’s really concerned with emotional interiors.
Gravity è Cinema. È un film che ti fa commuovere guardando la Terra, come quando nell’inquadratura di un quarto d’ora che apre il film, la camera passa dal macroscopico, la Terra appunto, al microscopico, un bullone che vola via.
The first shot of Gravity is very, very long and entirely sinuous. We see a slice of the Earth and then a dot that turns out to be a shuttle moving toward us, faster than we anticipate, with three figures attached—two working on the craft, one floating free. Of course it wasn’t done in real time—it’s computerized—but it’s still one (count it) shot that goes from macro (the planet) to almost micro (a dislodged bolt floating into the camera).
» Una cella su misura ∞
Ci sono volte in cui fa schifo avere venti-e-qualcosa anni. Spesso è come essere al volante di una Ferrari su una strada con il limite a 20km/h, ma i cartelli non riesci a capire chi è ad averli messi; può darsi anche siano solo nella tua testa, può essere che non siano reali. Intanto il motore si ingolfa.
Sei schiavo di concetti che non ti appartengono, ma che finisci per cucirti addosso, spinto da pressioni esterne troppo sottili per essere razionalizzate. Quando sei un bambino e ti cadono a terra le patatine, subito le raccogli e le mangi comunque; quando cresci, invece, inizi a notare lo sporco annidato sulla superficie croccante e le butti via. Allo stesso modo, lentamente, inizi a precluderti tutta una serie di azioni in nome del “buon senso” — o di chissà quale altra stronzata — e costruisci, paletto dopo paletto, una cella su misura.
∞Breaking Bad is The Godfather of television, and we’re going to be studying it for a long, long time.
Come funziona la creatività?
L’ultimo video dell’ottima serie PBS Off Book riguarda la creatività. Denso di riflessioni interessanti sull’argomento (e anche qualche cliché, ma va bene così), vi consiglio di prendere qualche minuto per guardarlo:
Il video mi ha fatto tornare in mente queste parole di John Cleese:
Creativity is not a talent. It is not a talent, it is a way of operating. MacKinnon showed that the most creative had simply acquired a facility for getting themselves into a particular mood
“a way of operating”which allowed their natural creativity to function. In fact, MacKinnon described this particular facility as an ability to play.
» Un altro post su Breaking Bad (poi basta) ∞
Ho appena letto un articolo imperdibile di Luotto Preminger su Breaking Bad, anche meglio di molta roba già raccolta qui:
Breaking Bad è il prodotto epocale che è – e ha l’effetto devastante che ha inaspettatamente avuto – per due motivi: primo, perché è una figata clamorosa. Nel senso più giovanilista e onnicomprensivo del termine. [...] È forse, tra tutta la roba che ho visto in tv o su uno schermo, uno dei più devastanti ottovolanti di emozioni su cui mi abbiano mai portato in giro. [Il secondo motivo della sua grandezza è] il suo rimanere saldamente, drammaticamente ancorato a un realismo psicologico senza compromessi; e questo è tutto merito dell’incredibile lavoro di scrittura nella creazione dei personaggi principali.
Interessanti le riflessioni su Felina. Inoltre il post contiene, a mio avviso, la parola definitiva sull’altro finale della serie:
Due settimane prima, però, sulla nostra testa di ingenui spettatori si era abbattuto Ozymandias, il terzultimo episodio della serie. E anche quello era stato un finale. Disperazione nera, barba infradiciata di pianto e un bel cazzo di niente da applaudire: Ozymandias era la fine della presunzione d’innocenza di noi spettatori. Eravamo stati tutti complici di Walt, e tutti ne pagavamo le conseguenze. [...] Ozymandias è la conclusione, la destinazione finale, del processo d’identificazione con l’antieroe. [...] In quel momento, nel suo concretizzare lucidamente tutte le nostre paure, nel suo negarci con vera cattiveria anche l’ultimo degli “andrà tutto bene” a cui avevamo tentato di appigliarci di puntata in puntata, Breaking Bad si era rivelato una trappola mortale, lo schiaffo nichilista di più vasta portata mai concepito ai danni di una platea televisiva.
» La scala da 1 a Walter White ∞
Ritengo errate alcune conclusioni del lungo post di Francesco Pacifico sul finale di Breaking Bad — la redenzione di Walter White è una redenzione "virtuale", non concreta — ma ho apprezzato molto alcuni passaggi, tra cui questo:
L’esistenza di Walter White mi permette, guardando una storia americana contemporanea che non lo riguarda, di capire quello che sta succedendo e di valutarlo in una scala da 1 a WW. Prima di Walter White, il diventare cattivi era descritto come un raptus o come una conseguenza dell’amarezza. Sei anni di metodica ricostruzione dei processi mentali di un frustrato ci consegnano invece un modello per raccontare le conseguenze più profonde della frustrazione e della paura della morte.
Cose da leggere (e ascoltare, e guardare) sul finale di Breaking Bad
When a show is as brilliant as Breaking Bad, it’s not just about the people we’re watching, it’s about those watching them. About us.
Nei giorni scorsi ho pubblicato su Twitter link e citazioni di molte letture sul finale di una delle serie che mi hanno appassionato, provocato, sfidato ed emozionato maggiormente negli ultimi anni, Breaking Bad. Qualcuno ha apprezzato molto queste condivisioni, ma qualcosa può essersi persa per strada, così ho deciso di raggruppare qui tutto quello che ha destato il mio interesse, escludendo i post più banali e integrando ciò che avevo mancato di condividere.
Consiglio, prima di proseguire, di leggere i commenti dei lettori di Vulture all’episodio, di recuperare l’intervento del cast della serie da Conan e di ascoltare almeno le ultime puntate del podcast ufficiale… Continua la lettura.
Una teoria sul finale di Breaking Bad
Emily Nussbaum, che ho cominciato a seguire purtroppo solo recentemente, non ha apprezzato particolarmente il finale di Breaking Bad (a differenza del sottoscritto). A prescindere da questo fatto, nel suo articolo The closure-happy “Breaking Bad” finale, la Nussbaum avanza una teoria un po’ folle e un po’ geniale sul finale della serie di Vince “Farò-il-contrario-di-quello-che-vi-aspettate” Gilligan.
La teoria, in sintesi, è che ciò che vediamo sia una fantasia di un Walter White morente, e che l’episodio, quindi, sia stato in un certo senso ‘scritto’ da lui. Ecco un estratto del suo post:
I mean, wouldn’t this finale have made far more sense had the episode ended on a shot of Walter White dead, frozen to death, behind the wheel of a car he couldn’t start?