Pensieri di un morto di fama

Ultimamente mi è capitato di ridere, per non piangere, di una certa parte della blogosfera tecnologica — perdonate l’abominio linguistico — luogo di seghe mentali improbabili e sterili lusinghe reciproche tra blogger e sviluppatori. Non mi metto ad argomentare perché chi sa di cosa sto parlando sa di cosa sto parlando. Comunque, per fare qualche esempio: app scarne e basilari ricevono recensioni e plausi grazie alla fama dello sviluppatore, su update di software da 2€ si scrive per mesi e una recensione di un sistema operativo famoso per la sua intuitività conta decine di migliaia di parole — perché sempre più spesso quantità e qualità vengono confuse.

Ognuno scrive e legge quello che vuole, ma rivendico il mio diritto di giudicare ciò di cui fruisco, proprio come facciamo tutti quando smontiamo e distruggiamo collettivamente l’ultima puntata di The Walking Dead.

Perché scrivo questo? Perché mi è capitato di essere attaccato proprio per i miei commenti sarcastici o negativi verso le menate tecnologiche di cui sopra. Se non ci fosse altro di cui parlare, probabilmente tutto questo chiacchiericcio inutile non mi meraviglierebbe più di tanto, ma oggi c’è ben altro di cui parlare: l’evoluzione tecnologica ci sta mettendo di fronte a sfide senza precedenti e non dovremmo, a mio avviso, ignorarle. Dietro al progresso e alle grandi aziende di cui cantiamo le lodi si stanno verificando processi complessi che dobbiamo osservare e analizzare prima che ci sfuggano di mano. Sono catastrofico? Non credo, decidetelo voi, tra un unboxing di 20 minuti di un telefono e un’accesa discussione sullo skeuomorfismo.

Se mi sono finalmente deciso a scrivere queste righe, è merito della presentazione alla libreria Modo Infoshop di Bologna del libro Morti di fama di Loredana Lipperini e Giovanni Arduino. Wu Ming 1 ha introdotto le tematiche del libro, e insieme all’autrice ha fatto un discorso a tutto tondo che ha spaziato dalla microfama, appunto, e i BIG DATA, alla forza lavoro sfruttata dalle compagnie tecnologiche, dalle assurde e insensate classifiche di Amazon, al modo in cui il marketing online uccide creatività e produttività, dal fatto che la coda lunga è una cosa bellissima per chi distribuisce ma forse non per chi produce, fino alla nostra scelta di curare l’immagine online (ma dovremmo dire “brand”) che forse non è una scelta così consapevole, e che anzi finisce per trasformarsi a tutti gli effetti in pornografia emotiva. Tutto questo passando per Hegel, necrotweet e neologismi straordinari come “relazionogeno”. Tutto ciò come sta cambiando la nostra percezione di noi stessi e degli altri? Cosa sappiamo e non sappiamo dei meccanismi che fanno funzionare Internet? Questi sono solo esempi di domande che dobbiamo cominciare a porci.

Per me che sguazzo da sempre nel web e sui social, ascoltare questa chiacchierata è stata davvero una boccata d’aria fresca, ma al contempo mi ha fatto pensare a quanto Internet e derivati stiano sfuggendo di mano proprio a chi ritiene di averne il controllo perché c’è nato dentro. Se volete, quindi, approfondire la cosa e cominciare anche voi a riflettere su queste tematiche, vi invito caldamente ad ascoltare la registrazione della presentazione (potete riprodurre il file tramite il player in fondo a questo post). Sì, è una registrazione lunga, ma in questa ora e mezza scarsa è condensato quanto 10 puntate del “podcast tecnologico” medio non riuscirebbero a dire.

Un breve post scriptum: questo mio “attacco” — ma è solo una provocazione, dai — a cose come articoli di blog in cui si spiega come fare in modo complicato cose molto semplici è dovuto anche al modo in cui considero la tecnologia: se ne cantiamo le lodi quando non ci fa pensare troppo e ci fa fare le cose, rendendoci produttivi e creativi e chissà cos’altro, mi sembra folle perdere tempo ed energia per inventarci i modo più contorti di complicarla. Inoltre, l’evoluzione dei software è ormai così veloce che è puro autolesionismo usarli in questo modo, perché le app vanno e vengono, mentre noi dovremmo sforzarci di fare qualcosa che resti. Allora più che perdere un pomeriggio a concatenare 10 app per iPhone per salvare una nota su Evernote, perché non perdiamo un pomeriggio a scrivere una poesia, o una sceneggiatura, o la recensione di un film, o una lettera d’amore, o un pensiero qualsiasi, magari proprio su Evernote? Ripeto, queste sono provocazioni, e vanno prese come tali.


Aggiornamento: questo articolo, com’era facile immaginare, ha scaturito interessanti discussioni su Twitter, anche se c’è chi ha frainteso le mie intenzioni. Sono inoltre già stati scritti alcuni post a riguardo, come questi: Solo cose importanti e Solo cose importanti – Parte 2 di Diego Petrucci e Cogli l’utile in ogni cosa di Jacopo Ranzani.

Ecco, quindi, alcuni dei tweet di risposta/approfondimento:

Wu Ming e gli autori del libro hanno apprezzato: