Io, Bologna dipendente: la genesi di un mockumentary di 60 secondi

Voglio condividere con voi la genesi del video “Non potrete più farne a meno” – o come l’ha chiamato Repubblica, “Io, Bologna dipendente” – e alcune riflessioni scaturite dalla sua realizzazione. È il primo video che scrivo e dirigo ed è motivo di grande soddisfazione in quanto ha ricevuto il primo premio nel contest Next Stop: Bologna – contest al quale avevamo già partecipato con Bononia, vincitore del secondo premio.

Lunedì 8 aprile 2013, nel pomeriggio, mi è venuta l’idea per un video da inviare, appunto, al contest Next Stop: Bologna sulla piattaforma Userfarm. Insieme ad altri tre ragazzi – Daniele Bisceglia, Francesco Gentili e Gaetano Narducci – stavo già realizzando, proprio per questo contest, un video che abbiamo cominciato a girare quello stesso pomeriggio, ma alla fine il risultato non ci ha convinti e il montaggio non è stato ultimato.

Dicevo, fortunatamente mi è venuta questa idea e appena sono arrivato a casa – ovvero il nostro set – ho aperto l’applicazione Highland, ho scritto la sceneggiatura in 5 minuti (forse meno) e l’ho stampata. Si tratta di un mockumentary di soli 60 secondi che racconta la storia di Gianfranco, un ‘Bologna-dipendente’ che racconta la sua drammatica storia ai documentaristi della fittizia “BCC”.

Avevo già in mente, nella brevissima fase di ideazione e scrittura, lo stile di regia e montaggio che avrei adottato. È stato fondamentale in quel momento il feedback di Daniele, Francesco e Gaetano, che hanno contribuito a rendere credibile il prodotto finale con le loro idee. Proprio Francesco, fortunatamente, era disposto a recitare il toccante ruolo di Gianfranco nonostante non avesse tempo per prepararsi (e si è dimostrato all’altezza del compito rendendo il personaggio credibile) mentre io mi sono improvvisato voce narrante, grazie all’esperienza del podcast, e giornalista della “BCC”. Daniele si è occupato della fotografia, montando le luci e preparando l’attrezzatura con l’aiuto di Gaetano. In poche ore io e gli altri Bitchachos abbiamo girato il video, in parte nella mia camera da letto, in parte in giro per Bologna in piena notte.

Bitchachos

(in ordine da sinistra verso destra: Francesco Gentili, Gaetano Narducci, io sono quello seduto e Daniele Bisceglia)

La mattina seguente mi sono svegliato prestissimo per montare i due video, ed è a questo punto che mi sono accorto che l’altro progetto – quello ‘principale’ sui cui puntavamo tutto – non funzionava ed ho concentrato tutte le mie energie sul mockumentary. Imitando lo stile documentaristico anglosassone ho messo insieme riprese, grafica ad-hoc, audio registrato a parte e musica, sforzandomi di ridurre il tutto a 60 secondi. Abbiamo quindi uploadato il video e incrociato le dita, ma visto che non riesco a starmene con le mani in mano, ho deciso di sfruttare il pomeriggio per montare una Director’s Cut con il materiale extra girato.

Il giorno dopo, ovvero il 10 aprile, siamo andati a Bologna Fiere per l’evento Univercity: Expo Città per gli Studenti, dove inaspettatamente sono stato intervistato da Mariolina per m2o.

Intervista su m2o

Il nostro video è stato proiettato insieme ad altri 3 selezionati, raccogliendo il consenso maggiore – stando all’intensità dell’applauso – quindi ci è stato assegnato il primo premio ex-equo. A quel punto sono stato autorizzato a pubblicare la Director’s Cut, che ha avuto ottimi riscontri ed è finita la mattina seguente su Repubblica TV.

Repubblica

Realizzare questo video mi ha insegnato alcune cose che sento la necessità di condividere. Eccole in ordine sparso:

  • Si può fare un ottimo prodotto di livello professionale in meno di 24 ore se si lavora intensamente, appassionatamente e con le persone giuste (non per forza 20, a quanto pare ne bastano 3 se sono in gamba).
  • Quando si comincia a sviluppare un prodotto che nella fase di ideazione ha generato entusiasmo, si rischia di non capire che quello che funziona in testa o a parole potrebbe essere in disastro e non funzionare una volta ultimato. Bisogna essere pronti a ripartire da zero, a rivalutare tutto, a mettersi a lavorare quando ci si vorrebbe fermare per riposarsi.
  • Bisogna condividere il risultato non solo genericamente sui social, ma anche in modo specifico e mirato agli account pertinenti (nel mio caso, ovviamente, si trattava di di magazine, blog e personalità legate a Bologna e alla comunicazione). Vi assicuro che non è una perdita di tempo.
  • È scontato ma vale la pena ricordarlo: è meglio accordarsi con tutte le persone coinvolte nella realizzazione di un progetto sulla divisione dell’eventuale vincita, già quando si decide di partecipare. È un modo per non complicarsi la vita, rischiando di avere discussioni spiacevoli.
  • Final Cut Pro X è un software fantastico. Ho acquisito le riprese, montato ed esportato il video in poche ore, senza dover mai renderizzare durante la lavorazione.
  • I tempi impossibilmente stretti (nel nostro caso un giorno) possono essere uno stimolo incredibile e un grande vantaggio. Se avessimo avuto più tempo probabilmente non mi sarebbe venuta l’idea, se mi fosse venuta non l’avrei scritta immediatamente, forse Francesco avrebbe deciso di far recitare la parte a qualcun altro ecc. ecc. Se abbiamo ottenuto un grande risultato è forse soprattutto perché non avevamo il tempo per respirare.
  • Un limite di durata per un progetto video inizialmente può sembrare eccessivo e arbitrario, ma è un’altra di quelle restrizioni che possono contribuire e rendere il processo creativo più produttivo e il prodotto finale più accattivante.
  • Si dice che non importa la qualità dell’attrezzatura se le idee sono buone. Non sono d’accordo: avere una buona idea è un motivo in più per procurarsi e utilizzare gli strumenti adeguati. Nel nostro caso questo fatto è ancora più evidente, dato che per ottenere lo stile documentaristico di cui sopra è necessario dare alle riprese un look estremamente professionale.
  • Bisogna puntare alle idee e ai contenuti. Mi capita talvolta di vedere ragazzi più o meno in gamba impegnarsi molto per creare gruppi, team, case di produzione ecc. senza in realtà avere bene in mente gli obiettivi e gli standard qualitativi da rispettare. Meglio puntare al prodotto: se il risultato è ottimo (buono non basta) e ci si diverte, sarà evidente che c’è un team che funziona.

Questo è tutto, per ora, ma come ogni successo, questo è l’inizio di un percorso, non la fine. Un #nuovoinizio, appunto.

Scritto da il 11/4/2013 in Best of Feelmaking, Filmmaking.