Centoquaranta caratteri
Though the 140-character format is a constraint, it need not be seen as a limitation, [..] this characteristic of Twitter can also be seen as an advantage. The brevity of messages allows them to be produced, consumed, and shared without a significant amount of effort, allowing a fast-paced conversational environment to emerge. The varied approaches users take in addressing constraints reveal what they value in specific messages and in Twitter as a conversational environment.
Ho estratto questa citazione (che proviene da qui) dall’ottimo lavoro di Gianfranco Lanzio ‘Twitter for Brands’. Come probabilmente già sapete, i noti limiti di Twitter (140 caratteri per tweet, 15 caratteri per username…) erano dovuti inizialmente alla natura del servizio che avveniva tramite SMS. I suddetti limiti sono sopravvissuti alla incredibile evoluzione che il social network di Jack Dorsey ha avuto negli anni e, come suggerisce la citazione che ho riportato sopra, rappresentano una caratteristica importante di Twitter come mezzo di comunicazione. Ma la piattaforma di micro-blogging in questi anni è diventata adulta, e forse sul limite dei 140 caratteri si potrebbe discutere. In particolare penso alla enorme differenza che c’è tra una lingua e l’altra nel numero di caratteri necessari per esprimere lo stesso concetto. Non voglio addentrarmi nella linguistica o nella semiotica, ma mi limito a dire ciò che è ovvio: un inglese con 140 caratteri può dire più cose di un italiano, e un cinese può dire più cose di un inglese e così via. Se allora il limite serve a stimolare le conversazioni veloci e dritte al punto, non mi spiego questa disparità. Forse è arrivato il momento di differenziare questo limite a seconda della lingua usata, oppure dobbiamo accettare che le differenze linguistiche creino differenze di esperienza d’uso di servizi come questo.
C’è anche un problema che affligge un po’ tutti gli utenti quando si addentrano nelle conversazioni più interessanti: a mano a mano che si aggiungono persone alla conversione, gli username occupano sempre più spazio nei tweet e discutere diventa via via più difficile, fino a diventare del tutto impossibile. Non dico che gli username non dovrebbero contare come caratteri utilizzati nelle reply, ma bisognerebbe inventarsi qualcosa per non sacrificare per una questione tecnica la funzione più importante di Twitter stesso: creare conversioni e produrre engagement.
Ma già che ci siamo potremmo parlare dei DM. Ha davvero senso limitare i messaggi privati a così pochi caratteri? Mi trovo sempre più spesso a comunicare su Twitter il mio indirizzo di iMessage. I DM sono semplicemente inutilizzabili per qualunque cosa che non sia un banalissimo e freddo scambio di informazioni, e il fatto che spesso non vengano sincronizzati bene tra i dispositivi non aiuta. E poi diciamoci la verità, spezziamo continuamente le frasi tra un messaggio e l’altro, scavalcando di fatto questo inutile limite, che serve quindi unicamente a peggiorare la user experience. E le conversazioni di gruppo? Neanche per sogno. Forse i messaggi di Facebook sono il modello da seguire (notifica di lettura, sincronizzazione perfetta, affidabilità…). Qualunque discussione privata vagamente complessa o approfondita non può avere luogo su Twitter, e questo dal mio punto di vista svantaggia enormemente il mio social network preferito.